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Pensioni italiane: uno squilibrio da 88 miliardi

In Italia la pensioni superano i contributi versati, ogni anno, per una cifra pari a 88 miliardi di euro e in questo siamo secondi solo all’Austria.

Da che cosa arriva questo squilibrio? A sentire i politici le cose non stanno così. Per ben due volte, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti ha dichiarato che il “sistema previdenziale è sostenibile nel lungo periodo, anzi è addirittura positivo” e ad assecondare le sue parole è arrivata anche la Camusso che questa estate ha ribadito le stesse parole: “Il sistema è in equilibrio, il problema semmai è l’evasione”. Visto che la situazione è così rosea, alcuni politici hanno pensato che fosse normale spostare la decisione dell’innalzamento dell’età pensionabile al giugno 2018 eppure, come abbiamo visto, le cose non sono andate così! Che cos’è allora che non funziona? Ci raccontano delle fandonie oppure noi non riusciamo a comprendere quali movimenti strani mantengono in equilibrio il sistema pensionistico?

In un documento, nel quale il governo italiano è co-autore, si può leggere che, “in base al rapporto sull’invecchiamento ( 2015) il fondo previdenziale copre i costi delle pensioni e le proiezioni dal 2013 al 2060”. Che cosa vuole dire esattamente questo? Quel rapporto ci racconta che la spesa delle pensioni pubbliche, ogni anno, supera il contributi versati per 88 miliardi di euro, ossia la differenza fra quanto lo Stato paga e quanto riceve è di 88 miliardi. La differenza viene colmata da tasse e deficit pubblico.

A questo punto viene logico domandarsi: come fanno certi politici a vedere l’equilibrio del sistema previdenziale? L’Italia attualmente è il paese dove le pensioni hanno il costo maggiore  e siamo anche il paese dove si va in pensione prima, è vero? La risposta è dì e no. Se è vero che in alcuni paesi oltralpe è possibile andare in pensione anche a 58 anni, è vero che da noi potrebbe succedere altrettanto se, negli anni, si fosse fatta una lotta contro l’evasione della contribuzione. Inoltre, le aspettative di vita si allungano quindi si allunga anche il periodo in cui bisogna pagare la pensione, di conseguenza, aumentare l’età pensionistica vuol dire mantenere il rapporto di erogazione pensione/tempo costante. Ma una domanda sorge spontanea: se dobbiamo aumentare l’età lavorativa per poterci versare i contributi per mantenere la nostra pensione, cosa sarà dei giovani che, non solo non trovano lavoro, ma non avranno neppure fondi per affrontare un loro futuro pensionistico? Quando s’incomincerà a introdurre formule realmente alternative? Quando sarà possibile decidere dove e come creare un fondo pensionistico autonomo?